giovedì 29 agosto 2013

No all'intervento militare in Siria. Libertà, giustizia e dignità per il popolo siriano


Da due anni il popolo siriano si è ribellato con coraggio e determinazione a una dittatura pluridecennale, facendo fronte da solo a una feroce repressione nell’inerzia sostanziale di quella che si definisce - impropriamente - «comunità internazionale».
Se oggi la resistenza alla dittatura si è avvitata in una spirale di violenza non sempre esente da pratiche sbagliate e condannabili  e da derive settarie, non possiamo dimenticare i lunghi mesi – almeno da marzo a luglio 2011- di manifestazioni pacifiche, di massa, assolutamente nonviolente in cui un'intera popolazione ha affrontato fucili e carri armati senza un sostegno internazionale - nemmeno della cosiddetta «società civile globale».
E' come se avessimo vissuto negli ultimi anni in una sorta di crisi del pensiero che ha impedito a molti di distinguere il vero dal falso e ha consentito ad alcuni di tentare di coprire la luce del sole con un dito.
Oggi il terribile episodio dell’attacco chimico nella zona di Ghouta potrebbe rappresentare l’evento che fa precipitare ancora di più la tragica situazione in Siria, un passo verso una nuova escalation militare.

Noi che a questa rivoluzione abbiamo sempre espresso il nostro appoggio esprimiamo con forza la nostra opposizione a un intervento militare degli Usa e dei loro alleati - intervento che sarebbe illegittimo, sbagliato, inutile e dannoso.
Illegittimo perché deciso da soggetti che non hanno alcun diritto a farsi portavoce delle regole di funzionamento internazionali; sbagliato perché rappresenterebbe l’ennesima violazione del diritto internazionale e l’ennesima rappresentazione di una volontà di potenza da parte di Usa e alleati; inutile perché non indebolirebbe e tantomeno farebbe cadere il regime di Assad, che anzi rischierebbe di uscirne con maggiori consensi e legittimazione; dannoso perché provocherebbe altri lutti tra la popolazione che si vorrebbe «aiutare» e rischierebbe di allargare il conflitto armato all’insieme della regione mediorientale.

Ormai è chiaro che non ci sarà una soluzione militare al conflitto in Siria - dove gli scontri da tempo non riguardano solamente soggetti siriani, per la presenza di diversi interessati attori esterni statali e non.
Serve un’iniziativa internazionale capace di isolare il regime siriano e di ridare forza politica alle opposizioni democratiche e rivoluzionarie. Un’iniziativa che da parte dei governi garantisca la fine del trasferimento di armi nel paese e nella regione e e un adeguato sostegno alla popolazione siriana colpita dalla guerra e dalla repressione del regime - a partire da una forma di «adozione internazionale» di prigionieri e scomparsi che ridia loro libertà e dignità.
Una nuova guerra occidentale o della Nato non aiuterebbe il popolo siriano. E’ giunto il momento che i Paesi occidentali dimostrino di stare dalla parte del popolo siriano con i fatti, non a parole; non con le armi ma con la disponibilità a rimettere in discussione la loro volontà egemonica nell’area alcuni e il loro sostegno a regimi autocratici e a paesi della regione che continuano a violare diritto e diritti (come Israele) per favorire un clima di distensione internazionale da cui tutti i popoli, a partire da quelli del Mediterraneo e del Medio Oriente, trarrebbero giovamento.
Non nutriamo alcuna illusione nei confronti dei governi finora responsabili delle politiche di guerra e repressione.
Vorremmo che dalla società civile e dai movimenti sociali in Europa e nel Mediterraneo si alzi una voce chiara contro ogni intervento militare e a sostegno delle aspirazioni del popolo siriano - e di tutti i popoli (a partire dal quello egiziano oggi sull’orlo di una nuova autocrazia militare): libertà, giustizia, dignità.

Comitato di sostegno al popolo siriano di Milano